Nella Valle del Silenzio

Quaderno di viaggio – 3: Il Priorat, tra certose ed eremi

Un altro caldo weekend di luglio. La pioggia dei giorni scorsi ci ha dato poca tregua.

Barcellona in estate é un immenso cantiere. Ad ogni angolo una segnaletica bianca e gialla delimita quadrati di asfalto, mentre nuovi blocchi di cemento vengono impilati, uno sull’altro, in attesa di trovare una migliore collocazone. Il tempo é scandito dalle campane delle chiese, ma anche da trapani e trivelle. Si scava, si ricostruisce, si pongono le basi per nuovi progetti urbanistici. Sulla Sagrada Familia appare una croce e nuove sagome sovrastano la facciata della Passione. Il grande “Lego” di Barcellona é piú che mai dinamico e mutevole.

Noi invece abbiamo solo bisogno di aria fresca, di meditazione e silenzio, di posti autentici e di natura incontaminata. Prendiamo una cartina e cerchiamo un luogo di montagna, lontano dal frastuono e dall’umidità soffocante della città, che toglie il respiro anche ai poveri animali domestici che vediamo boccheggiare lungo i marciapiedi. Preferiamo percorrere solo pochi chilometri in auto, perché la voglia di immergere le caviglie in una pozza naturale e di camminare a piedi nudi sull’erba é davvero tanta.

Scegliamo il vicino Priorat, una regione frequentata principalmente da turisti spagnoli (in realtà pochi anche a fine luglio), e decidiamo di esplorare il nord-est di questa terra ricca di storia. Portiamo con noi solo uno zaino, il costume e le immancabili scarpe da trekking.

Partiamo verso le due del pomeriggio (un’ora infausta, ma non abbiamo scelta) alla volta di Poboleda, piccolo borgo di trecento anime nel Parco naturale del Montsant. Lì ci attenderà un campeggio immerso tra i vigneti e circondato dalle grandi pareti rocciose della Morera, che al tramonto ricordano un po’ i leggendari canyon americani.

Ma prima, passando da Reus, decidiamo di fare una deviazione (non sarà l’unica).

Ci ha sempre affascinato la vita d Gaudì e, quando si approfondisce lo studio delle sue opere architettoniche, la curiosità di scoprire i luoghi in cui ha trascorso la propria infanzia, é una necessaria conseguenza.

La letteratura, da Racionero ad altri scrittori catalani e spagnoli, descrive minuziosamente l’attività del padre, carpentiere, la sua officina a pochi chilometri da Reus, la quotidianità di Gaudí, le amicizie coltivate per anni, l’osservazione della natura e del lavoro manuale, la costante ricerca del bello e del vero.

Un’infanzia spensierata, anche se spesso solitaria, ricordata con nostalgia dall’architetto dopo il trasferimento della famiglia a Barcellona… e le tante tragedie che hanno accompagnato il suo percorso umano ed artistico.

Quell’uomo timido, vissuto come un eremita in una casa isolata del Park Guell, poco incline ai rapporti con l’alta società dell’epoca, aveva infatti posto le basi della sua fortuna proprio qui, su questa terra rossa attraversata da filari di viti ed ulivi. Soltanto a Riudoms, tra lucertole e fiori, sentieri di campagna, galline e conigli, forgia e carbone, trovava l’essenziale alimento il genio.

Giungiamo in questo piccolo centro agricolo, che con Reus si disputa ora i natali di Gaudì. Imbocchiamo una strada di campagna che ci porta in pochi minuti alla Mas de la Calderera, la casa-officina del padre dell’architetto. Sostiamo davanti ad un cancello nero, proviamo a chiamare, ma nessuno risponde. A destra delle colonne d’ingresso, un viale si apre lateralmente sulla “masía” in cui, secondo un’unica testimonianza (quella della balia), sarebbe nato Gaudì.

Non vediamo nessun divieto, parcheggiamo l’auto ed entriamo. Avvertiamo in lontananza latrati di cani che, in pochi secondi, si fanno sempre più vicini, fino a che da un caspuglio compare un grosso pastore tedesco. Sembra aver compreso che veniamo in pace. Smette subito di abbaiare e si lascia accarezzare, docile e felice.

Oltre una siepe, dopo qualche secondo, appare una sagoma. In lontanza non riusciamo a distinguerla perché il sole, al tramonto, ci accieca. Solo quando é a pochi metri da noi, vediamo che si tratta di un uomo sulla cinquantina che, in costume da bagno, cammina indisturbato tra i campi. Siamo fortunati, é un vicino. Ci racconta in breve le vicissitudini della Masía di Gaudì, venduta ad un privato, riacquisita dallo Stato e venduta nuovamente all’attuale proprietario, un anziano signore che non ama i turisti. Ci consiglia comunque di attenderlo perché non vive più lì, ma ogni pomeriggio torna a trovare i suoi cani.

“Lui conosce tutta la storia e vi potrà mostrare qualcosa. Non vuole che questa casa diventi un luogo di pellegrinaggio, ma non é scortese. Qui non arriva mai nessuno. – E aggiunge – Se vi trova simpatici, vi inviterà volentieri a fare due chiacchiere davanti ad un caffé”.

Attendiamo per circa un`ora, ma incrociamo solo due trattori che rientrano a Riudoms dopo una giornata di lavoro. Ci ripromettiamo quindi di tornare (chissà, magari il prossimo weekend). Quel caffé che saprà di mito e passato non ce lo possiamo proprio perdere!

Il sole scompare oltre le colline, mentre i tornanti sempre più frequenti e tortuosi, annuciano la prossimità della Serra del Montsant. A distanza, ogni tanto, vediamo qualche lampione isolato, ma dovremo “scavallare” la montagna per raggiungere il primo centro abitato.

Il nostro camping é una terrazza verde circondata dalle colline. Il bar chiude alle 21.30. Siamo arrivati giusto in tempo! A Poboleda la bassa stagione finisce il 27 luglio, per cui fino a quel giorno, a parte il camping, non c`é un solo ristorante aperto.

Si conoscono tutti, a Poboleda. E’ come una grande famiglia. Quando arriviamo nella piccola piazza centrale, non incontiamo i trecento abitanti, ma quasi. Ci salutano cordiali, come se fossimo anche noi dei parenti o dei compasani, e subito ritornano alle loro conversazioni.

Al camping invece siamo solo in cinque, oltre all’oste: noi e tre francesi che, a quanto pare, apprezzano il vino del Montsant. Ne ordinano infatti più di una bottiglia.

Finalmente gustiamo in pace i nostri due calici di rosso, con quattro tapas che, forse per la fame o per la prossimità dei nostri animati commensali francofoni, ci sembrano uscite dalla cucina di Chez Maxim.

Tre stelle cadenti attraversano obliquamente il cielo sulle nostre teste. Nessun rumore in lontananza, solo il frinire delle cicale. La città é già un lontano ricordo.

Sembra un classico: un gallo ci sveglia al mattino. Ci prepariamo subito ed attendiamo che apra il bar del camping. Comunque non abbiamo fretta, non ne abbiamo mai avuta. La nostra filosofia non é quella di vedere il più possibile, ma di godere di ogni cosa. E quest’ora di attesa, oltre a riconciliarci con noi stessi, sembra un segno del destino. La Cartoixa infatti, prossima meta, non aprirà le sue porte che alle 10.

Facciamo quindi colazione con calma. Ci stupisce la piccola folla di gente che, a gruppi, giunge al camping. Consiglio a tutti di passare almeno un giorno a Pobleda per studiare le buone regole di vicinato. Si salutano, si cedono reciprocamente il posto, conversano con vivacità ma senza alzare la voce, aiutano l’oste ad apparecchiare, sembrano perfino ansiosi di cominciare un’altra giornata di lavoro. Tutto come dovrebbe essere (ma é raro che lo sia, in particolare in città).

La Certosa di Escaladei dista pochi chilometri da Poboleda. Prima di partire, chiediamo ai nostri nuovi amici cos’altro si può visitare della zona. Sappiamo che ci sono molti eremi e pozze di acqua dolce, ma non possiamo vederli tutti. Ci consigliano allora Ulldemolins e forse non sbagliano. Hanno già capito cosa stiamo cercando.

Escaladei non é solo una Certosa, é un libro di storia. Anche se ormai restano poche pagine sgualcite, il suo alito ha attraversato indenne centinaia di anni. E’ la pietra ferita che parla, i saccheggi e gli incendi echeggiano tra le ultime volte rimaste, tra i muri delle celle in cui i monaci scandivano il tempo con il lavoro e la meditazione. Il vento che fischia tra le fessure, sembra riportare, a tratti, i canti e le sommesse preghiere dei ventiquattro solitari abitanti di questa enorme proprietà di Dio.

Cos`era Escaladei e cosa ne é stato dei monaci? Dietro i fascino delle sue rovine cosa si nasconde? Quali storie ci raccontano i suoi chiostri abbandonati? Eppure questo luogo é stato abitato fino a tempi recenti. Forse per questo il dramma appare ancora oggi fresco e vivo.

Immaginiamo dodici uomini in abito bianco, incappucciati, che decidono di edificare qui il proprio monastero. Immaginiamo che, negli anni, diventino ventiquattro e che altre celle, umili ma certamente più lussuose di quelle dei benedettini, vengano costruite attorno al perimetro del chiostro. Pensiamo al lavoro di una comunità dedita al mantenimento di questa immensa struttura e al ritmo immutabile dei giorni della preghiera. Immaginiamo due sale capitolari, una chiesa, una cappella, una grande biblioteca, refettori, cucine, marmi e volte, archi e stucchi, maioliche e scudi. Di tutto ciò resta poco o nulla.

Immaginiamo ed ascoltiamo … altrimenti non potremo mai apprezzare, né avvertire, il potere mistico di questo luogo.

La Certosa di Escaladei, fondata nel XII secolo grazie alle donazioni della Corona Aragonese, divenne già nel XIII secolo un punto di riferimento per tutto il Priorat. I monaci insegnarono agli abitanti della regione nuove tecniche per coltivare la terra e per dare un’identità agricola a tutta la zona. Nel corso dei secoli gli ampliamenti e le modifiche strutturali hanno cancellato l’aspetto romanico della Certosa, per conferirle un’immagine sontuosa, barocca. Escaladei é stata inoltre un importante centro artistico. Sulle volte si scorgono ancora eleganti decorazioni policrome e stucchi di rilievo.

Nel XVIII secolo la Certosa tocca il suo massimo splendore. Ma la tragedia é già vicina e la devastazione giunge inattesa e violenta.

Nel 1835, a seguito della “desamortización de Mendizábal” infatti, molti dei beni dei certosini furono espropriati. In pochi giorni la Certosa di Escaladei fu saccheggiata, incendiata e rasa al suolo. I monaci dovettero abbandonare il Priorat e non riuscirono a porre in salvo nessuna delle opere conservate, né libri, né tele. Gli ultimi tesori furono acquisiti da un gruppo di proprietari e poi rivenduti all’asta, mentre i marmi e i capitelli vennero utilizzati per la costruzione di nuovi edifici. Solo nel 1989, grazie all’intervento della Generalitat, sono iniziati i lavori di restauro. Il chiostro é stato miracolosamente ricostruito con tecnologie all’avanguardia e strutture in ferro e pietra hanno sostituito i soffitti ormai scomparsi.

Oggi il sole é tornato a risplendere tra i colonnati e sugli orti di Escaladei, mentre la maestosa Vergine di Antoni Naveros continua a vegliare sulle sue dolenti rovine.

Proseguiamo il nostro viaggio verso nord. Destinazione Siurana. Ma prima ci fermiamo in un altro camping per approfittare di un tipico menu del día, riposare per mezz’ora all’ombra di un gazebo di vite e, perché no? Fare anche un tuffo in piscina. Intorno a noi ancora campi, sconfinati vigneti e silenzio. Pure qui sembra che la stagione turistica tardi ad arrivare.

Siurana é un piccolo borgo medievale composto da due strade, dalle rovine di un castello e da un notevole eremo romanico costruito sulla roccia. Se ci si sporge dal promontorio, oltre alla valle, si notano le grandi pozze d’acqua che, con il loro blu brillante, si staccano come specchi dalla terra arida che le circonda.

A quanto pare Siurana ha saputo gestire meglio degli altri borghi della regione il proprio marketing turistico perché, appena parcheggiamo, ci rendiamo conto che abbondano le auto di belgi, tedeschi e francesi. Il paese, nonostante le dimensioni e le “ricostruzioni” non sempre fedeli al passato, é infatti un piccolo gioiello che fa da cornice all’autentico eremo di Santa Maria, sua attrazione principale. Un pony passeggia sul prato inglese antistante e famiglie in pantaloncini sostano all’ombra delle tende rosse di due bar. Tutto “demasiado perfecto”, forse troppo. Comunque non possiamo che restare incantati di fronte al portale della chiesa e al panorama che, sotto un cielo limpidissimo, si apre davanti ai nostri occhi.

Facendo attenzione a non mettere un piede in fallo, prima di ripartire, anche noi vogliamo immortalare, come chi ci precede, questa misurata bellezza architettonica in perfetto equilibrio con la natura circostante. Non sarà una foto originale, ma … non poteva mancare!

E finalmente, inseguendo il sole che inizia a nascondersi dietro le alture, giungiamo ad Ulldemolins. A breve distanza troveremo i tre eremi, di Sant`Antonio, Santa Magdalena e Sant Bartomeu. Purtroppo non avremo l’opportunità di visitare il terzo, irragiungibile in auto e con un sentiero poco raccomandabile al buio, ma sappiamo già che torneremo presto ad esplorare questa regione. Intanto ci godiamo indisturbati la pace dei primi due luoghi di culto, immersi in una quieta pineta e delimitati da cipressi millenari. A pochi passi notiamo due aree pic-nic attrezzate, anch`esse desolate. Ecco perché gli abitanti di Poboleda chiamano questa terra la Vall del Silenci.

Ci sdraiamo sugli aghi di pino, che hanno coperto come un morbido manto questa terra pietrosa, e ci lasciamo accarezzare per qualche minuto dal vento fresco che preannuncia la sera. Registriamo questo momento, così da imprimerlo eternamente nella memoria. Ora sì, siamo pronti per tornare a casa.

PS. Prima di arrivare a Riudoms, dalla statale, a Borges del Camp, si intravede il campanile di una piccola basilica modernista, la Mare de Déu de la Riera. Se avete tempo, vi consigliamo di fermarvi a visitarla, anche solo per pochi minuti. L’architetto é stato allievo di Gaudì e la chiesa, nel complesso, vanta uno stile un po’ eccentrico, ma davvero originale. Se la strada che imboccherete per raggiungerla non sarà asfaltata, non tornate indietro! Proseguite. É proprio quella la via giusta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto
Torna su